giovedì 31 luglio 2008

Prologo

“La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero”, scriveva Hegel. Sei anni alla Scuola di Hogwarts, più uno in clandestinità nei boschi dell’Inghilterra, in compagnia di Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley, sono il compito minimo cui la filosofia, oggi, non può sottrarsi.
Nessun rischio di esagerare nello scomodare una formula hegeliana per introdurre l’insolito legame, qui in atto, tra la filosofia e un’opera di fiction che ha coinvolto milioni di lettori in tutto il mondo e al di là – visto che il nome di Harry Potter è stato evocato anche sull’isola di Lost. La realtà in cui viviamo è sempre meno una realtà univoca dai confini ben determinati e sempre più una rete complessa e articolata costituita dall’intreccio di diversi mondi, tra cui, importantissimi, e a loro modo reali, quelli che si attualizzano in opere di fiction (dalla letteratura al cinema, dai fumetti alle serie tv).
Il mondo magico di Harry Potter occupa oggi, in questa rete di mondi, una posizione di assoluto rilievo. E, per la sua forza, sembra destinato a reggere alla prova del tempo, come ha pronosticato Stephen King: “Il mio pronostico è che reggerà alla prova del tempo e starà sugli scaffali dove vengono tenuti i migliori. Penso che Harry prenderà il suo posto assieme ad
Alice, Huck, Frodo e Dorothy e che questa serie non sia qualcosa solo per un decennio ma per intere epoche”.
Sei anni a Hogwarts, e uno in clandestinità, dunque. Con Harry, Hermione, Ron. Perché non si tratta, qui, di usare la saga di Harry Potter come un pretesto per parlare di filosofia, o di fare l’analisi della logica del mago. Compito del filosofo non è, come indicava Frazer ne Il ramo d’oro, “rintracciare il processo mentale nascosto sotto la pratica del mago”, bensì entrare nel romanzo-mondo creato da J.K. Rowling e percorrerne le strade, i corridoi, i passaggi segreti. Si tratta di fare amicizia filosofica con i personaggi che nel mondo del testo vivono, o con quelli che ci sono più affini, affrontando con e attraverso di loro, e le loro storie, questioni filosofiche capitali come il coraggio nel suo legame con l’atto etico, l’amore per la giustizia al di là della legge, il potere (magico) di fare cose con le parole, i limiti della ragione occidentale, le minacce della logica del fascismo.
Nessuna piccola pedagogia né esercizi di filosofia minima in tutto ciò: piuttosto esperimenti e allenamenti più simili a quelli praticati nella stanza della necessità dall’Esercito di Silente che non alle lezioni di Storia della magia e/o della filosofia. La filosofia attraverso la letteratura fantastica, una filosofia di sperimentazione e contaminazione piuttosto che di interpretazione o riflessione, è altrettanto importante, oggi, della filosofia della scienza. In un caso come nell’altro è in gioco la verità di un mondo. Perché vi sono, naturalmente, più di una verità. E più di un mondo.
Il mondo di Harry Potter è un mondo in atto nella rete del reale. Ne sanno qualcosa i quattrocento milioni di lettori che nel mondo di Harry Potter hanno vissuto. Che cosa significa, in fondo, imparare a leggere se non imparare a esistere in più mondi? Si è evocato a proposito della saga scritta dalla Rowling il rischio di “fuga dalla realtà”, dimenticando così l’essenziale: che orientarsi nella realtà significa sapersi muovere in tutte le sue articolazioni, comprese quelle della fiction.
La saga di Harry Potter è, a tutti gli effetti, un’opera d’arte della cultura pop di grande complessità e bellezza, e una risorsa straordinaria e potentissima per l’esercizio della filosofia. Una filosofia per bambine e bambini, streghe, maghi e Babbani. E per quanti sanno prestare ascolto alle parole di un grande poeta, René Char, che scriveva: “Sviluppate la vostra legittima stranezza”.